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Per un pugno di dollari
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Un paio di settimane fa è stato distribuito dall'Anica il risultato di uno studio sulla redditività dei film italiani sui mercati esteri, studio che risponde ad alcune delle domande che qualche volta proprio qui abbiamo formulato e che vanno in sostanza da un semplice “I film italiani sono distribuiti all’estero?” a un più ficcante “Quanto incassano i film italiani all’estero?” passando per “Quali film italiani incassano all’estero?”.

Siccome penso che - da quando all’ex Ministro dello spettacolo Dario Franceschini è venuta in mente l’idea geniale di lanciare la cultura italiana nel mondo con la famigerata ItsArt, la cosiddetta Netflix della cultura italiana - siamo diventati tutti un po’ più sensibili e curiosi sulla diffusione del nostro cinema all’estero, mi sono letto tutta la relazione. E poi, già che c’ero, ho fatto un po’ di ricerche per capire anche cosa sia successo a ItsArt.

Sarà perché ci siamo scocciati di essere riconosciuti solo per pizza, mandolino e mafia e non sarebbe male che nel mondo si sapesse che nel nostro DNA culturale recente ci sono, per dire, anche Michelangelo Antonioni e Sergio Leone. Sarà solo per curiosità cinefila o per verve polemica, ma sempre più spesso mi capita di confrontarmi con altri appassionati di cinema che stanno all'estero e siamo tutti un po’ sbalorditi dal fatto che per restare al passo con il nostro cinema dobbiamo sostanzialmente scaricare i torrent perché la reperibilità è a dir poco scarsa. Ecco, l’ho detto.

Ora però il tema non è tanto quello degli interessi dei residenti italiani all’estero che anche chissenefrega. Siamo voluti o dovuti andare via e adesso subiamo RaiPlay che non ci mostra film e programmi che dovrebbero fare parte della sua library storica, i film italiani non arrivano nelle sale dei paesi in cui risediamo e soprattutto ci becchiamo quel gioiello di ItsArt. Il tema più centrale è invece quello della diffusione del cinema italiano come mezzo di sostentamento della nostra industria audiovisiva e anche, parzialmente, come coadiuvante allo smantellamento (o rafforzamento?) degli stereotipi sull'Italia.

Quindi partiamo dalla ricerca dell’Anica e vediamo un po’ come si muove il cinema italiano all’estero.

Lo studio, realizzato fra marzo e settembre del 2022, ha preso in esame l’intera produzione nazionale di titoli per gli anni 2017 - 2021 con l’obiettivo di condurre una ricognizione del mercato e fornire prime stime sul numero di film che hanno ottenuto distribuzione oltre frontiera e sui valori economici generati da tale attività di export. Si tratta di elementi estremamente importanti che, in un quadro di costante evoluzione del mercato audiovisivo, permettono di comprendere la vitalità e la competitività dell’industria nazionale del film.

Quanti film vengono prodotti in Italia?
Complessivamente, fra il 2017 e il 2021 sono stati prodotti in Italia, per la sala, la TV lineare (gratuita e a pagamento) e per i servizi VOD, 1.130 lungometraggi.

Quanti film hanno distribuzione estera?
Su 184 titoli prodotti nel 2017, 43 hanno avuto diffusione estera. Poi 63 su 202 nel 2018, 88 su 264 nel 2019, 92 su 238 nel 2020 e, infine, 96 su 242 nel 2021. Un grafico evidenzia come in termini percentuali ci sia stata una crescita dal 23% al 40% di titoli distribuiti all'estero rispetto ai titoli prodotti.

Cosa significa distribuzione estera?
Quando parliamo di distribuzione estera si intende qualsiasi distribuzione, non solamente la sala. Valgono quindi anche i titoli distribuiti attraverso operatori VOD globali come Netflix, Prime Video, Disney+, MUBI ed eventuali cessioni di diritti di trasmissione a operatori televisivi stranieri.

Si ok, ma quanti soldi fanno?
Qui le cose diventano un po' più difficili. Le coproduzioni con operatori esteri rappresentano da sempre il principale veicolo di circolazione dei film all'estero. Sui 1130 prodotti nel quinquennio 2017/2021, 220 sono frutto di coproduzioni. Questo è un dato importante perché quando si inizia a parlare del valore economico che deriva dalla circolazione di un film all'estero, i soldi con i quali una casa di produzione estera ha contribuito alla realizzazione di un qualsiasi film - soldi che quindi fanno parte del budget di spesa del film - sono nella maggior parte dei casi considerati poi anche come ricavi.

Un esempio.
Se un film di coproduzione italo-francese è costato dieci milioni di euro e, di questi, 2 sono stati dati in fase di realizzazione da una casa di produzione francese in cambio dei diritti del film per la Francia, questi due milioni sono considerati come ricavi esteri di quel titolo. Una manovra che secondo me è corretta fino a un certo punto perché ritengo che confonda un po' le acque sul termine ricavo di quell'anno, quando invece i diritti acquisiti valgono per molti anni, se non per sempre.

Quanti soldi girano?
Per non riempire solo di numeri e dati questo testo prendo ad esempio un solo anno del quinquennio. I ricavi totali derivanti da vendite estere dei diritti di titoli prodotti nel 2019 (90 film) è di circa 40 milioni di euro (nello studio dell'Anica sono sempre indicati i valori prudenziali e quelli aggressivi e io considero il valore prudenziale).

Sono tanti soldi?
Per rispondere bene a questa domanda da semplice neofita quale sono sarebbe necessario avere dei parametri. Uno potrebbe essere quello relativo a quanti soldi hanno incassato in Italia i film italiani nello stesso anno. La risposta è: nel 2019 i film italiani hanno incassato al botteghino italiano 134 milioni. Ma per poter trarre delle conclusioni più fini sarebbe molto utile sapere cosa succede in un mercato simile al nostro, come per esempio la Spagna. Sono dati complicati da trovare e mi ci metterò ma se qualcuno ha suggerimenti o aiutini sono molto benvenuti.

Una cosa che proprio non è chiara.
Se da un lato è evidente che l'aumento di film distribuiti all'estero nel corso del quinquennio preso in esame si riflette anche sui ricavi annuali, quella debolezza contabile a cui ho accennato trova conferma nell'ultimo paragrafo dello studio, quello che riguarda lo sfruttamento dei diritti sul patrimonio cinematografico italiano, ossia i ricavi generati dal catalogo cumulato dei film prodotti in Italia tra il 1930 e il 2016. Stiamo parlando di 4348 titoli che tra il 2017 e il 2021 hanno generato ai detentori dei diritti "solo" 6/7 milioni di euro all'anno.

Questa è una cifra che onestamente mi pare bassissima. Come è possibile che nel 2017 gli 88 film distribuiti all'estero abbiano portato nelle casse dei detentori dei diritti italiani 19 milioni di euro e poi 4300 film della library storica, inclusi i titoli dell’anno precedente, rendano solo 7 milioni di euro all'anno? Questo sembra proprio essere il frutto di una politica di vendita di diritti esteri che punta all'estetica del conto economico anno per anno: incassare denaro velocemente per fare il film valorizzando la quantità, con la conseguenza che i film smettono di produrre ricavi negli anni successivi.

E comunque se questo patrimonio fosse caricato tutto su YouTube, Plex e PlutoTv penso che potrebbe rendere di più anche solo con la pubblicità. Ma bisognerebbe vedere quali sono i titoli rimasti "in casa" e quali quelli che sono stati "venduti per sempre" per tenere formalmente alto l'incasso annuo ma ragionando di fatto sul breve termine.

E così, mosso da spirito autolesionista, alla fine di questo percorso sono finito a buttare l'occhio su quella che avrebbe dovuto essere la novità più entusiasmante degli ultimi anni, quella che avrebbe dovuto far conoscere le eccellenze culturali italiane al mondo intero: la piattaforma streaming ItsArt.

Accedo a ItsArt dalla Spagna e la prima domanda è: dove è finito il cinema che, a livello di progetto, anche per la presenza nella compagine sociale di Chili, avrebbe dovuto fare la parte del leone? Ci sono solo un pugno di film da vedere (gratis) e una manciata di documentari. Ma come è possibile che dopo tutto questo tempo, a piattaforma lanciata e funzionante, a mancare sia il prodotto?

L'idea di partenza non era così sbagliata - riunire in un unico portale il meglio e farlo diventare il punto di riferimento della produzione culturale italiana per una fruizione in streaming da tutto il mondo - e i soldi, pubblici e privati, non mancavano. Peccato che, stando al bilancio del 2021 pubblicato da poco, in un solo anno sono stati spesi ben 7.700.000 euro. 5 milioni di euro per i servizi (niente battute), 900.000 euro di personale, 1 milione di ammortamenti (ossia la quota annuale dei soldi spesi per creare la piattaforma), mentre i ricavi ammontano a soli 240.000 euro. Risultato: una perdita di 7.400.000 euro.

Ma soprattutto perché non ci sono film su ItsArt? Perché su Itsart non c'è il patrimonio cinematografico italiano? Dove sono finiti i diritti di sfruttamento esteri del grande cinema italiano anni '50, '60 e '70? Perché neanche la RAI può mostrare all'estero i film che dovrebbero fare storicamente parte del suo catalogo? Ci siamo venduti e stiamo continuando a vendere i diritti per l'estero a prezzi troppo bassi? Abbiamo incrementato le produzioni medie o mediocri giusto per alimentare il sistema cinema senza una prospettiva a lungo termine?

Ho cercato risposte sui numerosi articoli che hanno condiviso la notizia dello studio dell'Anica ma ho trovato solo ripubblicazioni di comunicati stampa che mettono l'accento sugli elementi in crescita. Il dubbio che il mio, alla fine, sia solo un brutto trip indotto dalla delusione di non poter vedere Raiplay e da una navigazione frustrante su ItsArt è assolutamente fondato! Mi riprenderò presto ma se volete rassicurarmi, se volete condividere altre speculazioni o confutare totalmente queste, usate il box commenti qui sotto.

In copertina: Benvenuto nella sezione film di ItsArt!

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